POLITICA

L'Anci sul ruolo dei Sindaci e sulla modifica del Testo Unico degli Enti Locali

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La richiesta  di rinvio a giudizio del Sindaco di Fara San Martino Carlo De Vitis pone ancora una volta un problema enorme: in questo contesto di norme e regolamenti diventerà sempre più difficile fare il mestiere di sindaco. Un problema che ANCI ormai da anni ha posto all’attenzione del governo e del parlamento.  Possono i sindaci rispondere personalmente, e penalmente, per valutazioni non ascrivibili alle loro competenze? Possono i sindaci continuare a essere i capri espiatori, le uniche istituzioni sulle quali si scarica il peso di scelte dalle enormi responsabilità? Possono essere condannati perché fanno il loro lavoro?      

 Questa funzione che rappresenta l’essenza stessa della nostra democrazia, in quanto diritto di tutti a guidare la propria comunità, rischia di trasformarsi in un grande paradosso perché soprattutto nei piccoli centri è diventato persino difficile trovare persone disposte a svolgere il ruolo di Sindaco, perché prevale sempre più spesso il timore di rimanere travolti da norme di difficile applicazione, a volte incomprensibili perché magari pensate o scritte da chi non si è mai confrontato con il duro lavoro di amministratore.     

Oltre al dolore che un sindaco prova per queste tragedie che segnano  le famiglie delle vittime deve anche rispondere penalmente per valutazioni che certamente non possono essere ascritte alla sua responsabilità diretta.      

In particolare sulle nostre  montagne dove vi sono migliaia di chilometri di sentieri il concetto di segnalazione di pericolo latente ha un'applicazione molto difficile da rendere operativa.     

Esprimiamo la nostra solidarietà al Sindaco De Vitis e siamo certi che sarà in grado di far valere le ragioni oggettive della sua difesa.      Non dubitiamo del lavoro della magistratura, sia inquirente che giudicante, non lo abbiamo mai fatto e non lo faremo neanche in questa circostanza, così come rispettiamo  profondamente  il  dolore  e  la  ricerca  di  giustizia  dei  parenti delle vittime ma sentiamo la necessità di richiamare con forza l’attenzione del legislatore sulla necessità di un intervento normativo decisivo e risoluto di modifica del Testo Unico degli Enti Locali altrimenti in questo contesto, come  abbiamo più volte denunciato, perché già accade per i piccoli Comuni, non avremo più cittadini disposti ad assumere la carica di sindaco. Tale richiesta di modifica legislativa costituisce una ennesima conferma del rispetto per il ruolo dei sindaci e per il ruolo fondamentale della magistratura chiamata spesso a dare seguito a leggi talora non rispondenti a criteri di ragionevolezza.     

 

 

Il Presidente

Gianguido D’Alberto     

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(continua)

Cento anni fa l’appello ai Liberi e Forti di Don Luigi Sturzo.

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 IERI COME OGGI

“Errore è il credere che un partito esaurisca le sue forze nell’attività parlamentare o governativa. Quell’attività è una parte, la più visibile, la più rilevante, la più difficile e in determinate circostanze non è neppure la prevalente. Se pensassimo così, saremmo allo stesso livello della democrazia borghese che non aveva dietro di sé un partito ma le clientele. Un partito è per le idee che agita, per gli interessi morali e materiali che tutela, per l’azione riformatrice che crea”.  (Luigi Sturzo)

Cento anni fa, il 18 gennaio 1919, il Prete di Caltagirone Don Luigi Sturzo, con  “L’appello ai Liberi e Forti” imprimeva una svolta al panorama politico del Paese. I Cattolici, fino a quel momento impegnati solo nei Municipi, scesero in campo. Il loro impegno in politica, infatti,  era condizionato dal “Non Expedit”, imposizione con cui la Chiesa dopo l’Unità d’Italia aveva proibito ai Cattolici l’impegno diretto nella Politica parlamentare. Però, dopo la fine della prima Guerra Mondiale e con il Paese in una difficile condizione economica e sociale, non si poteva più stare a guardare. E così quel Prete di Caltagirone che, insieme ad altri, aveva stimolato in precedenza i cattolici ad occuparsi delle questioni relativi al governo dei Municipi (come li chiamava Sturzo), impresse una svolta forte. Un appello alla mobilitazione per creare un terzo polo tra il Raggruppamento liberal-borghere e quello socialista. La risposta arrivò alle elezioni Parlamentari dello stesso anno. Il Partito Popolare Italiano prese 100 parlamentari.  Cosa diceva Sturzo nell’Appello? Diceva che il Paese era segnato da una grave crisi post-bellica e che le forze liberali al Governo non erano in grado di risolvere, ammucchiati nei loro affari, nei loro interessi e nelle loro clientele. Dall’altra parte vi era una sinistra che ruotava intorno al Partito Socialista che si stava caratterizzando con una protesta violenta nelle fabbriche e nelle campagne. Una protesta che sfociava nella violenza sistematica, tanto che  il 1919/1920 venne definito  come il “Biennio Rosso”. Quell’appello fu l’estremo tentativo di imprimere una svolta al Governo del Paese, per trovare un equilibrio tra Conservazione liberal-borghese e rivoluzione socialista.  Vi erano idee tese alla salvaguardia delle libertà, delle autonomia locali, della scuola privata e la forza nella democrazia. L’ispirazione era cattolica, ma il Partito era aconfessionale. Tanto che nel nome non venne usato né il termine Cattolico né Cristiano. Da quel 18 gennaio 1919 partì una grande novità per il Paese. Una novità ricca di speranza, ma poi tutto finì in quella Marcia che, inizialmente, appariva come una specie di goliardica protesta. Tutti sappiamo come andò a concludersi. Finì la democrazia, finirono le libertà, vennero eliminati gli avversari politici (Matteotti venne ucciso, Sturzo fu costretto ad un ventennale esilio), e il Paese precipitò nella DITTATURA.

Ecco, a volte la storia maledettamente si ripete. Speriamo che non sia così anche questa volta!!!  

 

 

Licio Di Biase -

Coordinatore Regionale Democratici e Popolari per l’Abruzzo

 

                                            “Democratici e Popolari per l’Abruzzo”                       

                Via Conte di Ruvo, 139 - Pescara